martedì 27 maggio 2014

LA SAGGEZZA NEL CILENTO ANTICO

LA SAGGEZZA  NEL CILENTO
Nell’antica civiltà contadina del Cilento la saggezza si identificava spesso con la cultura popolare dell’anziano, le convinzioni religiose e sociali del vecchio parroco, le conoscenze mediche del vecchio farmacista che procurava decotti ed unguenti per ogni malattia, i detti del nonno, frutto di una lunga esperienza di vita, e quindi, se validi per lui, altrettanto per i parenti e gli amici. Il saggio, comunque, era il grande maestro per meriti acquisiti sul campo di battaglia di una società ristretta, chiusa, diffidente alle innovazioni portate dall’esterno accettabili in parte ma discutibili pure… Diciamo subito che il livello culturale – molto basso – non permetteva emendamenti anche approssimativi. Ma il saggio del paese, figura carismatica, anche se non aveva studiato trattati di sociologia o psicologia, rimaneva sempre il colto della comunità. Qualche frase tramandata dagli avi, qualche detto imparato a memoria, qualche similitudine tratta dal mondo agricolo pastorali, completavano la sua figura. Anche la figura del prete o di un monaco mantenevano un certo carisma, ma solo fino a quando il suddetto rigava dritto e non sconvolgeva la sua missione mescolandola con affetti o interessi personali. Il vescovo-conte, antica figura medioevale, non solo nel Cilento ma anche in molti paesi di tutt’Italia, abbracciava la fede e la comunità umana, cioè il corpo e lo spirito. Su quello che affermo esiste una nutrita bibliografia su fatti e misfatti compiuti al tempo da siffatti malfattori. Chi operava con fede per la comunità e la solidarietà era considerato una specie di santone. Tenga conto il lettore che nella società medioevale cilentana, come pure nelle altre, esisteva una grossa percentuale di disabili, detti anche storpi, scemi, pazzi, sciancati, pezzenti, disabili, malati, nullafacenti che trovavano precario sostentamento nelle opere caritatevoli della parrocchia del villaggio. In quasi tutte le comunità cilentane dell’epoca, esistevano delle confraternite e associazioni spontanee di altro tipo che offrivano una pratica solidarietà a chi ne aveva bisogno. Unico vantaggio era lo spirito genuino e spontaneo dei facenti parti di queste associazioni di volontariato, quasi sempre gestito dalla parrocchia del paese, che si faceva sentire nei momenti del bisogno. A questo punto non posso fare a meno di citare tre grossi esempi di volontariato caritatevole padre Giacomo, Alberto, la Caritas, il Centro di aiuto alla vita e le altre associazioni del no profit che aiutano anche gli immigrati, anche se di credo religioso diverso. Agropoli, una cittadina multietnica e multirazziale, rappresenta il massimo della solidarietà umana. Per quando riguarda l’accoglienza, l’assistenza, la collocazione nel mondo del lavoro pulito, l’intreccio di civiltà, cultura e religione diversa, motivi che sviluppano un collage con varie componenti, tutte atte alla costruzione di un mondo migliore.


    Catello Nastro

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