RICCHI
E POVERI
Un giorno, in una giornata
qualsiasi in un paese qualsiasi, si incontrarono su un marciapiedi due pedoni,
o viandanti, come suol dirsi nelle favole. La strada era deserta ed uno dei due
– non importa chi sia – si fermò per riposarsi e si sedette su una panchina
dove stava già seduto un altro uomo. La differenza tra i due si notava da
lontano. Infatti, uno era elegantemente vestito, con abito di marca, alla moda,
con giacca, camicia e cravatta firmata. Un paio di scarpe nuove luccicanti, un
orologio d’oro al polso ed un anello il
cui costo, senza alcun dubbio, avrebbe potuto competere col reddito di cinque
anni interi col povero. L’altro, il povero per intenderci, aveva un paio di
scarpe vecchie, consunte dall’uso e dal tempo, dei pantaloni di basso costo,
probabilmente comperato già usato al mercatino rionale ed un maglione, pulito,
ma pur esso consunto dal lungo uso. Il
primo a prendere la parola fu il ricco, quasi avesse voluto confrontarsi col
povero per cercare di capire la differenza di reddito e per conseguenza la
differenza del tenore di vita. Parlarono per circa un’ora, con pari peso
sociale e pari dignità umana, senza alcun sentimento di invidia o di
compassione. Il ricco spiegò i suoi impegni nel campo della finanza, parlò di
villa con piscina, di cameriera, di auto di grossa cilindrata, di azioni ed
obbligazioni, di alta finanza, di milioni di euro di investimenti. Il povero
parlò della moglie costretta a vivere col suo salario di operatore ecologico al
comune, che faceva sacrifici su sacrifici per mantenere i tre figli alla
scuola, per non far mancare niente, sia a loro che al marito, cercando anche di
aiutare la madre, rimasta vedova, costretta
vivere con la pensione sociale, che investiva in buona parte in medici e
medicine che la mutua non passava ed arrivava a stento a fine mese. Che ambedue
spesso andavano alla Caritas del paese per avere gratis qualche pacco di pasta,
qualche scatola di pelati, carne o tonno in scatola e, quando arrivava, anche
qualche pacco di zucchero. L’altro, il ricco, rispose che la moglie cucinava
una volta ogni tanto perché preferiva andare in ristorante oppure comperare il
pranzo nelle vaschette di alluminio, che riscaldava nel fornetto a microonde e
lo faceva mangiare con piatti e forchette di plastica, beveva vini di annata
selezionati dal suo fornitore. Nella foga della amichevole discussione, quasi a
confessarsi, il ricco disse pure che qualche volta ogni tanto la moglie lo
tradiva con uno studente universitario che abitava nello stabile di fronte al
suo. Ma lui non ci faceva caso perché non voleva rovinare la sua reputazione
nel suo ambiente di élite sociale nel quale viveva. L’altro, al contrario, gli
disse che la moglie lo amava, che amava pure i suoi figli e per loro quasi non si
toglieva il pane dalla bocca. Al sabato sera facevano pure all’amore cercando
di non mettere al mondo altri figli perché quelli che avevano erano già troppi,
da soddisfare almeno nelle richieste essenziali. S’era creata tra i due una
certa familiarità che non si erano nemmeno accorti che nella panchina vicina
poco più di un metro, un anziano signore, pensionato, probabilmente, ma colto,
perché lo si notava dalla sua barba bianca e dalla dignità nel portamento e nel
parlare, quasi filosofico e comunque saggio. Nel mentre il ricco parlava di
immobili ed investimenti obbligazionari, il povero parlava di amore coniugale,
verso i figli, verso il cane randagio che aveva raccolto infreddolito ed
abbandonato ai margini della strada, che fiutava, abbaiando, il suo arrivo dal
lavoro e la moglie che lo spettava con una tazza di tè caldo quando faceva
freddo, o una gassosa fresca quando faceva caldo. E la discussione continuò ancora
per un’altra mezz’ora su argomenti similari. Al tramonto i due decisero di
salutarsi e mentre si stavano stringendo la mano, il terzo uomo, sopraggiunto e
seduto nella panchina affianco, prese la parola: “ Scusate se ho seguito la
vostra discussione ed ho capito tutto. Solo una cosa non ho capito: chi di voi
due è il ricco e chi è il povero…”
Catello Nastro
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